I NOVE COMANDAMENTI
Si gioca Bologna - Juventus. Un’altra volta.
Quanti Bologna - Juve ho visto? Facciamo che non ci penso, sennò mi viene una botta di vecchiaia e tristezza che mica la sfango.
Io che sono prevenuto, lo ammetto, ma giusto un pochino, giusto quel tanto che basta, giusto quel che serve per non ricordarsi più un Bologna - Juventus regolare, di voglia ne ho poca, oggi.
Temo il peggio. E il peggio di solito, se qualcuno dotato di scarsissima perspicacia non l’avesse intuito, ha un fischietto in bocca, quando c’è la Juve al Dall’Ara. Roba da girare a gambe larghe tutta la vita.
Ma stare a casa non riesco. Proprio no.
Quindi torno ai duemila all’ora da Rimini, dove sto lavorando in questa domenica uggiosa, abbatto il muro del suono due volte, faccio un balzo nell’iperspazio, saluto Mosè, e guido col sorriso migliore che posso, che così almeno nelle foto della stradale vengo bene.
Poi passo da casa a cambiarmi al volo, e arrivo in zona stadio verso l’una. Finalmente. Sì, bè, quasi.
C’è già gente. Troppa. Troppa gente che viene allo stadio solo oggi. Che parcheggia dove di solito parcheggio io. Che fa la strada che di solito faccio io.
Sono nervoso, ‘cavacca. Molto.
Ho una specie di pitone, al posto della sciarpa. Nervoso pure lui.
Mi stringe la gola, mi sussurra che tanto anche oggi ce lo mettono in quel posto, e mi rende isterico quando una solerte vigilessa mi intima l’alt, io canno completamente il suo segnale, e nel retrovisore vedo lei che scrive nervosamente.
Iniziamo bene. Lo sapevo. Non dovevo venire, non dovevo venire, non dovevo venire. Me lo ripeto di continuo, come un eiaculatore precoce.
Alla fine parcheggio come posso. Praticamente a Rimini, potevo star là. Poi scendo e mi incammino. Anzi, ci incamminiamo. Io e il pitone rossoblu.
Io di norma non sono esattamente religioso. Anzi. Io e la religione ci guardiamo con reciproca diffidenza da sempre. Ma per un’ora e mezza alla settimana, io ci credo.
Ma molto, eh.
In genere accade la domenica, sempre che il Bologna non giochi in anticipo. Allora accade che tra me e me, prima e durante la partita, prego, e vista la scarsa confidenza con la pratica, prego un Essere superiore indistinto, un qualcosa di molto funzionale allo scopo, ecco. E a questo Supereroe domenicale, al quale parlo fitto fitto, in genere chiedo favori semplici, banali. Mica posso aver delle gran pretese, io che vado in Chiesa solo ai matrimoni degli amici o quando fa troppo caldo. Chiedo cose tipo un gol di Di Vaio, una vittoria semplice o, quando sono in vena di eccessi, fortunosa. Al limite che a Del Piero stanotte sia venuto il cagotto a furia di bere l’acqua della salute, o che Chiellini si sia imbalzato sul naso e gli sia andata una caviglia. Roba così. Che poi alle cinque, io torno alla mia vita e quell’Essere lì alle sue cose, che ne ha parecchie a cui badare, dicono.
Fra l’altro, si dà il caso che in questi giorni io stia scrivendo un romanzo con parecchi risvolti religiosi, e per farlo mi sono pure letto la Bibbia, sai mai. Quindi oggi, la mia vena mistica, come dire, è particolarmente predisposta.
Continuo ad avanzare. Il pitone preannuncia disastri e mi ricorda ogni singolo furto della Juve contro il Bologna. Ho parcheggiato lontano, ma non così lontano. Non riuscirà a ripeterli tutti da qui allo stadio.
Comunque, col pitone alla gola e il mio rosario laico sulle labbra, arrivo di buon passo alla Bocciofila, dai ragazzi della curva.
Subito, tanto per ribadire che sta domenica non è nata proprio sotto gli auspici più propizi, scatta qualche velatissima polemica con le forze dell’ordine sulle disposizioni antiviolenza previste oggi. In molti provano a discutere coi responsabili in divisa, e pure con quelli in borghese, che danno le solite autorevoli risposte prive di senso logico. Ma probabilmente loro hanno sinapsi e linguaggi superiori non comprensibili ai mortali. Fatto sta che faranno l’ennesima boiata, succederà del casino, come circa mille persone avevano cercato di far loro notare. A volte non far cazzate è la soluzione più semplice. Un peccato che non vogliano proprio pensarci, quelli lì con le sinapsi e il linguaggio superiori.
In tutto questo, io che su ste cose della Tessera, dei divieti, delle misure repressive tanto intelligenti da risultare incomprensibili, stupide e fallaci, sono un pelo sensibile, un pelo proprio, mi infilo nella discussione e mollo lì anche due o tre offese a pubblico ufficiale. Che tanto, tra la vigilessa di prima e le foto in autostrada oggi al massimo rischio il confino.
Esaurita la polemica, mi faccio un caffè ed entro allo stadio. Sensazione stupenda.
Anche oggi. Anche quando c’è la Juve. Anche col boa portasfiga al collo. Anche con sta sensazione di furto incombente che si respira nell’aria, molto simile a quel buon odor di merda che ogni tanto ti entra in macchina mentre percorri la Bassa senza pensieri. Vacca che poeta che sono quando son teso.
Ed entrare allo stadio fa scattare l’ultimo livello del mio misticismo odierno.
Sarà che ho incontrato Mosè nel balzo temporale di stamattina. Sarà che mi sono letto la Bibbia. Sarà che la domenica prego per il Bologna. Ma succede. E, non so proprio come, mi ritrovo, in curva, tra gli amici, a pensare alla Legge. Alle Tavole. Ai Sacri Comandamenti. Cioè, non proprio a quelli biblici, delle radici, dell’Esodo, Io sono il Signore, tuo Dio, che ti fece uscire dalla terra d'Egitto, dalla casa degli schiavi. Eccetera. A quelli più facili, semplificati, quelli mnemonici imparati al catechismo, la versione bignami, sì insomma, quelli che sanno tutti. Anche uno come me.
Quel che succede dopo, bè, quello è proprio strano.
Perché davanti a me, sti Comandamenti, si materializzano.
Diventano realtà, diventano partita, trovano applicazione quasi didascalica sul campo e fuori. Io non lo faccio mica vedere, ma sta cosa mistica comincia a farmi paura…
Infatti.
1. Non avrai altro Dio al di fuori di me.
Bene, mi fido. Magari, ecco, se tieni un attimo presente l’omelia che ho improvvisato tra la macchina e la bocciofila, hm, se soddisfi qualche mia richiesta sommessa, ecco…lo riterrei un gesto di buona volontà. Così, per convincermi un pelo. Le squadre entrano in campo. Chiellini e il suo naso ci sono. Del Piero va in panca, ma senza cagotto. Facciamo che mi fido lo stesso, ma iniziamo col piede sbagliato, eh.
2. Non nominare il nome di Dio invano.
Ci sto. E, guarda qui, ve’ che bravo che sono. Sono ligio al dovere, educatissimo. Non impreco, non dico roba oscena. Niente. Canto per il Bologna, ma faccio il bravo. Poi, verso il quinto minuto, Chiellini, proprio lui, quello col naso, tira un calcione da dietro a Paponi. Che a essere pignoli vorrebbe pure dire Grandi Papi, cioè, insomma, mi aspetto un minimo di riguardo, da lassù. Mica l’espulsione, ma un cartellino giallo ci starebbe. Niente. L’arbitro fischia giusto per cortesia e solo perché il malleolo di Paponi gli arriva in faccia, ma poi perdona. Dev’essere molto pio, lui qui.
Lo sono meno quelli intorno a me. Che sta cosa non la prendono con spirito olimpico e il nome di Dio, invano o meno, lo dicono molto forte. Associandolo ad animali da stalla o da cortile. Perdonali.
3. Ricordati di santificare le feste.
Eh, siamo qui.
Più di così che possiamo fare?
Noi del Bologna, quando c’è la Juve, ci sentiamo come si può sentire un tacchino a Natale. Un sospetto che finisca male ci sfora, eppure siamo qui. Santifichiamo alla grande, da ste parti. E intanto, quel sospetto, la sensazione che le regole in campo non siano identiche per le due squadre cresce. A ogni fischiata del pio arbitro. Che a occhio, mi pare più devoto alla Triade che alla Trinità, a dire il vero, ma sono sottigliezze.
4. Onora il padre e la madre.
I guardalinee non so se nascono per osmosi, o come tutti da una copula. Ma quello che sta sotto i distinti qualche dubbio me lo dà. Perché bisogna voler proprio poco bene alla propria mamma per continuare ostinatamente a sventolare la bandierina per segnalare i fuorigioco di Di Vaio e beccarsi puntualissimi Figlio di da qualche migliaio di persone. Ma lui continua. Ancora e ancora. E quando alzare la bandierina non gli basta, pur di fermare il Bologna, lui la lancia, la bandierina. In campo. E lì, l’antico lavoro della mamma del Figlio di non basta più. Le si cambia tutti in coro parentela. Da madre-meretrice a concubina. Del verro.
5. Non uccidere.
Dopo una mezz’ora di niente del primo tempo, il simpaticissimo Krasic, che apprenderò poi per radio essere un Bravo Ragazzo e sta solfa francamente ha rotto le balle, si tuffa in area. Ma proprio va giù senza che lo tocchi nessuno. E’ chiaro a tutti i trentamila che osservano la scena. Meno che a uno. Sempre il pio, il Peggio col fischietto che temevo all’inizio. Per lui è rigore. Netto. Senza dubbi. Io vorrei avere il teletrasporto ed essergli sulla giugulare. Non ce l’ho e rispetto il Comandamento numero 5. Ma quello sotto di me cammina avanti e indietro come un papà fuori dalla sala parto e ripete ossessivamente Io lo uccido, luilì, lo uccido. Riperdona, se puoi…
6. Non commettere atti impuri.
Tira Iaquinta, il rigore. Lo sbaglia, Viviano para, Cherubin mette la ribattuta nei pressi di Bazzano.
E qui è dura. Molto dura.
Chiederei un permessino, lassù, che sto Comandamento in questo momento si fa fatica a rispettarlo. Faccio il bravo, giusto una toccatina. Smetto quando v-v-v-voglio…
Mezza Andrea Costa si dirige festante verso il bagno. E i cori, dopo, partono con uno strano mugolio compiaciuto.
8. Non dire falsa testimonianza.
Siamo sinceri. Allora. Sta partita fa cagare.
Non facciamo due passaggi di fila, siamo in trincea, la Juve è la solita banda di ladri, l’arbitro un assoluto servo del potere. E speriamo che finisca in fretta. Porco cazzo.
9. Non desiderare la donna d'altri.
Al fischio finale, che raccontare il secondo tempo di sta partita è come commentare il segnale orario, butto fuori tensione, rabbia, rivincita. E anche un sommesso ringraziamento all’Essere superiore indistinto di cui sopra. Del Piero è entrato e simulato quel tanto che basta, Di Vaio gol non l’ha fatto e se mai avesse voluto c’era sempre il guardalinee a sbandierare, ma è 0 a 0, un puntaccio. I gobbi a sto giro lo pigliano in quel posto. Anche se ci hanno provato in tutte le maniere. Anzi in una sola, la sola che conoscono, quella di sempre. Ma un rigore si può sbagliare…
Mi avvio rapido verso la macchina. E il comandamento numero 9 si materializza, poco prima del posto dove ho parcheggiato. Resisto stoico, ma soccia che gnocca quella lì. Andiamo a casa, va.
10. Non desiderare la roba d’altri.
Be’, se gli altri sono quelli di oggi, quelli in bianco e nero, quelli con chili di scudetti e refurtiva in bacheca, io la loro roba non la voglio. Né ora né mai. Me ne sto bene col mio pitone rossoblu ansiogeno al collo, con le mie tristezze, il mio incazzo. Ma l’orgoglio e la presunzione di essere meglio.
E se un giorno poi scoprissi che l’Essere indistinto che prego solo per il Bologna dovesse essere meno indistinto, vero davvero, bè, io di sicuro sconterò il mio scetticismo, ma all’Inferno fanno un bel pienone tra quelli che oggi erano in San Luca e quelli che avevano fischietti e bandierine in campo…
Fine.
Cioè, quasi.
Come dite? Manca un Comandamento? Manca il settimo?
Già.
Non rubare.
Abbiamo giocato con la Juve.
Potevo metterlo?
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