IL BLOG

Questo Blog ha lo scopo di cercare di fare ridere (o almeno sorridere) in un campo, quello del calcio Bolognese, ormai troppo serioso e di riportarvici un po' di satira e di autoironia tipiche della tradizione di quella Bolognesità ormai assopita.

È un mezzo per esprimere la propria creatività ed è aperto a tutti quelli che ne vorranno fare parte. Basta avere due credenziali:
- tifare Bologna
- sapere fare ridere.

Quindi non ve ne abbiate, cari calciatori, dirigenti, giornalisti (del Bologna, ma anche Avversari) se ogni tanto Vi prendiamo in giro.

Se non ci fate sorridere lasciate almeno che ci proviamo noi!!

FORZA BOLOGNA SEMPRE!!!

mercoledì 8 dicembre 2010

TIRA MOLLA


300

Il mattino ha il colore del destino, grigio e incerto, l’odore della leggenda, impalpabile, ma inebriante.
E’ quasi l’undicesima ora del Nuovo Giorno, quando arrivo nel piazzale dove parte la spedizione.
Le falangi sono già pronte e schierate, c’è qualche narratore sparso e una manciata di opliti della sicurezza. Per l’arruolamento degli ultimi arrivati vengono aperte due casse apposite, alla faccia della spedizione vietata dall’Osservatorio degli Dei Maroni.
E se qualcuno aveva un dubbio sul fatto che questo manipolo dalle vesti rossi e blu consunte avesse le palle e partisse, è servito. Si va.
La destinazione è nota. 
Le Cesenopili.
Mi accodo a Leonidak e alla sua corte, salgo nel vagone reale, con me tanti volti noti. Anzi, quasi tutti volti noti, veterani. Gente che negli anni ho visto ovunque, a Genova, Udine, Torino, Firenze, Tebe. Ma soprattutto a Troia. Porca, in genere.
Il convoglio si muove, lentamente. Attraversiamo territori piatti e uguali, l’attesa si palpa come bruma densa, negli occhi di ognuno si legge la storia. E anche un lievissimo livello di thc.
A Castello di Santo Pietro, qualcuno ricorda che nella notte la terra ha tremato, da queste parti. Ci guardiamo con la consapevolezza che in genere il nostro esercito, quando si schiera così compatto e unito, deve fare i conti con qualche piccolo inconveniente. La neve, una settimana fa. Il terremoto, oggi. Il consiglio degli anziani dice che l’oracolo dell’Andrea Costa da tempo si è pronunciato: il paradosso di Achille e la tartaruga fu scritto per noi. Noi non la raggiungeremo mai, la tartaruga. Solo che quel paradosso lo scrisse Zenone. Noi abbiamo visto Zenoni. Insomma. Abbiamo sfiga. In eterno.
Ad ogni sosta, le vedette scrutano le campagne, gli angoli bui, abbiamo comunicato ai nemici tutto il percorso, sarebbe cortesia farsi vedere. Nulla.
Arriviamo al passo delle Cesenopili verso l’ora del pasto primario.
Gli opliti vestiti di blu ci mettono su comodi veicoli arancio. Cromaticamente bello, l’accostamento. Il cocchiere frusta, i cavalli si muovono. Alla pugna, alla punga. Pugnat, commenta il mio vicino di posto.

Giungiamo alla piana del tempio Manuzzo. Siamo belli, convinti, ognuno rivede riflessa negli occhi dell’altro la forza, l’onore, la tradizione.  
Leonidak sale su un piccolo rilievo e ci arringa. Questa è Bologna!, urla, E quello, bè, ma quello è un piadinaro…
Lo seguiamo tutti al chiosco per cibarci.
Passano i minuti, le ore, i meno forti soccombono e mostrano la carta dell’ostracismo, la chiamano Tessera. Entrano. Restiamo noi. In 300.
Anzi. I 300.
I più pugnaci chiamano il nemico. Che alla pugna, bisognerebbe essere in due, a regola.
Il nemico si dice confuso, deve consultare gli aruspici, gli oroscopi, le interiora dei polli Amadori. E poi la domenica le farmacie, anzi le pharmacie, son chiuse e il dissenten scarseggia. Non si fanno vivi, siamo a casa loro, li aspettiamo, e loro niente.
Solo le Weiss Serse Brigaden mostrano un timido segno di solidarietà, restando fuori dal tempio Manuzzo.
Noi ci avviciniamo agli ingressi, gli opliti ci sbarrano il cammino, si aspettano che cadiamo in trappola. Rimarranno delusi.
Un messaggero ci porta la notizia. Di Zeus. Gol.
Fiaccole votive si accendono, i cori di battaglia partono forti e ben scanditi. Gli opliti ci osservano meglio, non ci capiranno mai. Ma sono abituati. A non capire, dico.
Restiamo lì, compatti, uniti, non ci smuove nessuno. Si intonano nuovi canti, l’acquavite ci dà la forza per ballare.
Di nuovo il messaggero: Britosmennene. E sono due. Ora è una bolgia. L’accampamento risuona delle voci di migliaia di guerrieri rossoblu caduti con onore. L’Ade ci ributta su le loro anime, facciamo festa insieme.
Nel tempio Manuzzo la popolazione locale è muta. La loro disfatta è totale. Vent’anni, hanno aspettato. Per perdere e fare una delle più misere figure che possano ricordare i saggi dell’Acropoli.

Si odono tre fischi lontani. L’esultanza di Bologna è piena.
Ma non è finita.
Una vedetta grida I Britanni, I Britanni!
Partiamo.
Finiti i Britanni.
Però han fegato, commenta qualcuno.
Gli opliti blu partono alla carica. Non un passo indietro ordinano Leonidak e i suoi generali. Resistiamo senza paura. Vola qualche colpo sparso. Gli opliti gliela danno poi su, che non è mica il caso.
La folla esce dal tempio, ci scorre davanti e ritorna a casa. Noi restiamo lì, nella piana, imprigionati sui carri di ritorno.
Gli opliti narrano di un imminente attacco dei Pers-cesenati. Sì, di cagotto, suggerisce il generale Daddauro da Mileto.
Arriviamo al convoglio del ritorno alla settima ora della sera. Altro sbarramento. Inconcepibile. Ci siamo solo noi. La nostra gioia, il nostro orgoglio.
Paperiade da Salamina dibatte furiosamente con l’oplita più alto in grado. Io pure. Si aggiunge la vestale Giusicaa da Cnosso. Che pronuncia la formula magica. Va bene, dice, allora adesso informiamo i narratori del popolo mediatico. Magicamente il convoglio è nostro. Si parte. Ma prima ancora fiaccole, canti. E alla fine, spargiamo sale.
Cesenopili è sconfitta, caduta. Nostra. Non esiste più.
La storia siamo noi.
Bologna ci accoglie con la sua notte, il freddo, ma nessuno lo sente.
Le truppe rompono le righe solo dopo aver di nuovo marciato per le vie della città.
E mercoledì, cazzo, si ricomincia. Che il demone Daspo ci stia lontano.

Nessun commento:

Posta un commento