Il sogno all’incontrario
Botta di nostalgia. O di vecchiaia. Ma utile.
Era il 1992. Sono passati quasi vent’anni, orco giuda.
Era il 1992, dicevo, avevo 21 anni, me la spassavo, e studiavo giurisprudenza.
Vabbè.
Era il 1992, avevo 21 anni, me la spassavo molto, ed ero iscritto a Giurisprudenza. Pignoli, che siete.
Il Bologna annaspava orrendamente, alla fine di quel 1992. Uno dei tanti inverni terrificanti da tifoso rossoblu. Uno dei più orribili, a dirla tutta. Era il Bologna di Casillo e Gnudi, quello che a fine anno retrocesse in C1 e fallì.
Ora, in quel merdosissimo inverno del merdosissimo 1992, c’erano due cose che mi consolavano grandemente. La prima era un turbinante mulinar di gnocca, unico proponibile motivo per frequentare le aule del Bestial Market o di via Zamboni, ma questo è un ricordo vago, sfumato. Da anni sono maschio non praticante, ho attaccato le scarpe al chiodo. Anche se non sono scarpe, quelle. E per fortuna non stanno appese a un chiodo. Ma ci siamo capiti.
La seconda cosa era la domenica sera. Quell’appendice di fine settimana che faceva da confine tra le ripetute disfatte della banda di Bersellini, e poi di Cerantola (roba che uno evita l’eroina solo per una pugnace forza di volontà), e le interessantissime dissertazioni sul Diritto Civile dell’uomo più brutto del mondo, l’incubo del lunedì, colui che immediatamente, istintivamente, lombrosianamente avevo identificato come il Demonio fatto uomo. Il Professor Ruffolo. Solo a rievocarlo sento i brividi, tipo Fantozzi quando gli si ricorda Kobram.
Ma torniamo a quelle domeniche sera di fine 92. Il cuscinetto piacevole fra due orrori.
Ecco, in quelle serate, io avevo un mio personalissimo rituale televisivo. Ferreo, immutabile, sincronizzato al secondo. Un rituale serrato e piacevolissimo.
Verso le 20 e 30, o comunque in prima serata, mi sintonizzavo su TMC, TeleMonteCarlo. Si chiamava così, allora. E alle 20 e 30, su TMC, all’epoca, c’era GalaGol. Quel Galagol. La trasmissione sportiva che ha segnato un’intera generazione. La simil Domenica Sportiva dell’onanista compulsivo. Quella condotta, rigorosamente in minigonna sullo sgabello, dalla giovane Alba Parietti.
Dopo anni grigissimi di Carlo Sassi che commentava la moviola tipo requiem, di Tonino Carino, di Gianni Vasino, di Giorgio Bubba (evidentemente c’era una selezione cabarettistica dei cognomi degli inviati di 90° minuto), di Ferruccio Gard detto La Morte, di Strippoli col suo riporto, il calcio veniva spiegato, illustrato, presentato da una come la Parietti. Tutto in una volta. All’improvviso, senza preparazione, senza passaggi graduali. Dalla pancia di Galeazzi alle cosce senza fine dell’Albona nazionale.
Adesso ormai ci siamo abituati. Vallette e giornaliste con corpi da modelle, generalmente molto succinte nel vestire, sono una roba usuale, nelle trasmissioni sportive. Ma allora… bè, allora fu uno shock. Un punto di non ritorno storico.
E a me sta novità piacque parecchio, insomma. Dopo la solita sconfitta del Bologna, dopo la solita pizza della domenica sera, era una meraviglia sprofondarsi sul divano e gustarsi i servizi dai vari campi tra un accavallo voluttuoso e l’altro. Risollevava il morale. Cioè, il morale. Anche quello, ecco. Avevo le stimmati, io, all’epoca, se non si fosse capito.
Appena Galagol sfumava e la minigonna della Parietti si nebulizzava sul teleschermo, tac, via i kleenex, e telecomandavo diretto su Rai Tre. Seconda serata, 22 e 30.
C’era Su la Testa, su Rai Tre. Un laboratorio comico inesauribile. Sono nati lì, televisivamente, Antonio Albanese, Aldo, Giovanni e Giacomo e tanti altri. E soprattutto c’era lui, il capocomico. Paolo Rossi. Nel 92, parecchio in forma. Spassoso. Pungente. Cattivo. Esilarante.
E che chiudeva la trasmissione, in genere, con un monologo graffiante, di satira politica o sociale. Il monologo, spesso, era incentrato sul tema del Sogno All’Incontrario. Ovvero sul racconto di una realtà onirica, parallela e sarcastica, in cui tutto, ma proprio tutto, andava alla rovescia. Quindi molto meglio di come andasse nella quotidianità. In quell’Italia di Borsellino e Falcone e Tangentopoli.
Il sogno all’incontrario era bellissimo. Davvero. Cercatevelo su internet, dovrebbe esserci.
Fine della botta di nostalgia.
Perché ve l’ho raccontato? Bè, intanto perché la nostalgia a piccole dosi è salutare, e poi perchè, come dicevo, questo flashback, il Sogno all’Incontrario, ora, torna utile.
Perché, nel 2011, quindi a distanza di tante delusioni calcistiche e parecchi kleenex, sta roba alla rovescia è attualizzabile. Parecchio, specie sul BFC.
Me ne sto accorgendo ogni giorno che passa. Nelle cose grandi, come in quelle marginali, attorno al Bologna. E, lo ammetto, lo riporto qui appena dopo aver visto l’ultima puntata de Il Pallone Nel 7, la trasmissione storica di E’tv-Rete 7. E’ stata la prova inconfutabile. Il Verdetto. Le cose, qui, vanno proprio all’incontrario.
Ma andiamo con ordine.
Non ripeto la storia del passaggio di proprietà a Zanetti e soci. Ormai metabolizzato. Né delle prime mosse della nuova Società, dall’azionariato diffuso, ovvero , brutalmente, la richiesta di denaro a tifosi a vario titolo, alla scelta del Presidente di Baraldi, l’Innominabile.
Che un po’, qualche piccolo dubbio sul fatto che le cose vanno alla rovescia lo fanno venire. Ma ne ho già parlato e sparlato.
Dunque, avanti. Aggiornato a oggi, 17 gennaio 2011, il Bologna ha una compagine Societaria presieduta da Mr. Segafredo. Il quale, con la sua attività, fattura una roba come 1200 milioni di dollari all’anno, 1000 milioni di euro, circa. Insieme a lui ci sono un bel po’ di soci, coordinati da un mago vero della finanza come l’Ingegner Consorte, fra i quali spiccano il signor Fiori, che, leggo, ha tre aziende e una sola di queste di milioni annui ne fa 100, e la new entry, il signor Vacchi. Che, cercato su Internet, va sui 5-600 milioni di fatturato, e i dati del web non sono neppure aggiornati. Ora, facendo una somma un po’ empirica, un po’ arrotondata, senza troppi riferimenti sugli altri soci, i proprietari del nuovo Bologna possiedono complessivamente un patrimonio (certo, loro, personale) sui 2 miliardi di euro annui, 4.000 miliardi di vecchie lire, hm, bof, civ.
Sono tanti, tantissimi, soldi.
Milan e Inter e Juve a parte, nessuna proprietà calcistica italiana ci si avvicina. E’ più del doppio dei vari Preziosi, Della Valle, ecc. E’ più del PIL della Repubblica di San Marino (1,9 miliardi di dollari), per dire.
Ora, la San Marino Rossoblu, che potrebbe, a sto punto, dare agli azionisti almeno la cittadinanza onoraria e coniare moneta propria, ha subito subito una prima area test. Si chiama mercato. Di gennaio. Roba di riparazione. Per di più nelle migliori condizioni possibili: quest’anno la squadra c’è, negli anni scorsi era necessario stravolgerla, a gennaio, per restare in A (o per venirci, in A), adesso invece basterebbe poco. E cosa fa San Marino? Compra quel che serve? Si presenta alle folle con quel minimo di spavalderia economica che si addice ai megamiliardari? Fa l’acquisto che certifica la nostra magnificenza assoluta? Dichiara guerra ad Andorra?
No.
E’ un sogno all’incontrario, d’altronde. Le cose vanno alla rovescia.
I ricchi nei sogni all’incontrario sono senza soldi. E infatti, San Marino dichiara che non ci sono soldi. Che al mercato si va di prestiti. Che a tener i giocatori, c’è già di che essere contenti. L’ha detto il Presidente. L’ha ribadito Longo. L’ha ammesso Malesani, poi ci ha bevuto su un grappino, che ormai il mister quest’anno le ha viste tutte ed è in corsa per il Nobel della Pace.
Bene. Anche qualche tifoso comincia a dire che c’è da accontentarsi.
Anche il treno dei desideri all’incontrario va, diceva Celentano. Il nostro di sicuro.
Baraldi. L’ho detto, non lo commento di nuovo. Ma c’è qualcosa anche qui che va molto alla rovescia. Non mi sorprende che Zanetti se lo tenga contro tutti. E’ una sua scelta, la difende. E neppure mi sorprende che qualcuno minimizzi, a mezzo stampa. Ma i tifosi… Bè, i tifosi, in teoria si cibano di passione. In teoria, non stanno lì a fare sofismi, distinguo, eccezioni da procura. Tifano. E se una persona si rende colpevole di infangare, fare male, mettere a rischio la propria squadra, sempre in teoria, se la legano al dito, non perdonano nulla. Questo, nel mondo reale. Nel sogno all’incontrario targato BFC invece, a parte gli ultras e qualche simpatizzante, su Baraldi, chissenefrega, in cavalleria. Ha rischiato di mandarci in B, ha sputato sulla nostra maglia? Pazienza, teniamolo.
E arriviamo a Portanova. Il Portanova imprescindibile. Il Pilastro, almeno fino a dicembre. Io me li ricordo i commenti. Poi arriva il nuovo AD, Portanova non la prende benissimo. E a Bari, un po’ si vede…
Dunque, da una parte c’è uno che ha dato del venduto a Portanova e compagni. Ha messo a repentaglio la sicurezza di Portanova e famiglia (e se qualche cattivissimo ultras reagiva in modo violento?), ha rischiato di mandare Portanova e compagni in B. Dall'altra parte c'è Portanova, appunto, che è arrabbiato perché luiqui è tornato. E avendo le doti diplomatiche di un grizzly, lo fa vedere. Non è che sciopera, non è che va a figa fino alle 3 del mattino. Si allena, gioca, ma è incazzato. Reazione? Nel nostro sogno all’incontrario la reazione è che Portanova è stronzo e scoglionato. E magari si può vendere subito che tanto è lo stesso.
Ok. A posto. All’incontrario.
Inter – Bologna. Nel sogno all’incontrario chi gioca bene perde. E infatti. Solo che gioca benissimo anche l’inter. Che invece vince. Oh, è un sogno all’incontrario sul Bologna, questo. E ha i suoi limiti. Noi a San Siro con l’Inter lo pigliamo in quel posto anche nei sogni all’incontrario.
Ancora su sabato sera. La Tessera del Tifoso è un carta prepagata che certifica l’integrità morale e giuridica del supporter che la possiede. E soprattutto, offre al titolare di questo lasciapassare vantaggi inenarrabili confronto i paria che sono senza il graal bancario. L’ha detto il Ministero, mica pizza e fichi. Solo che poi c’è il sogno all’incontrario. A San Siro tifosi con e senza tessera tutti insieme. Senza controlli e distinzioni. Anzi, sì, con una distinzione. Chi ha la Tessera pagava 26 euro. Chi non l’aveva 24. Bazza.
Coppa Italia. Nei sogni all’incontrario Davide sfida Golia, ma con qualche vantaggio. Tipo giocarsela in casa, la partita secca. Qui no. Col Napoli si gioca a Napoli. Peccato che nei sogni all’incontrario i dirigenti di Lega non puliscano i cessi, in Lega.
E poi…bè, e poi cambio passo, e vado sulle cose marginali. Ve l’avevo detto. I particolari conferiscono alla storia veridicità. Sono importanti. E dimostrano la realtà per quella che è. La rivelano.
Sabrina Orlandi è una giornalista che da anni si occupa del Bologna. Carina, spigliata. In genere molto composta, educata. Una ragazza che lascia poco spazio alle moine da valletta o da sciantosa. E’ un merito, dovendo appunto fare la giornalista.
Per anni ho avuto questa certezza granitica, sulla Sabrina di E’ tv. E per quel poco che la conosco, potevo confermare. Quasi timida, nel suo fascino, la ragazza.
Poi, mi capita sotto mano in questi giorni un libro.
Lui & Lei. Di Gianfranco Civolani e Sabrina Orlandi.
Lo sfoglio, leggo.
E cosa trovo? Trovo un’autodescrizione della suddetta, timida, Sabrina. Che definendo le sue abitudini, in particolare il suo guardaroba, dice di preferire un look sportivo e pratico. Fin qui. Tutto bene. Tutto abbastanza noto. Ma poi aggiunge qualcosa, la cerbiattesca, schiva, pudica, Sabrina. Una frase. Puntualizza che a lei, sì, piace vestire sportivo, ma, e immagino una pausa sofferta, nella lettura, “A volte mi piace sentirmi Femmina”, afferma. Uau. Mica dice donna. Dice Femmina. Le piace sentirsi femmina, una frase scabrosa, pruriginosa, una perla da Greta Garbo al secondo giro di gin. Hai capito la Sabrina? Soccia. Alla faccia delle mie convinzioni granitiche. Alla faccia dei miei assurdi pregiudizi. Alla faccia. Proprio un sogno all’Incontrario, sta Sabrina orgogliosa Virago dell’etere.
Infine, e guarda un po’ c’entra ancora la Sabrina Orlandi, dicevo de Il Pallone Nel Sette di stasera.
Allora, per quei 4 che non lo sanno, E’ tv è un’emittente di proprietà della Curia. Con un suo codice etico preciso, quindi. Con paletti piuttosto rigidi. Con uno stile un pelo attento a non eccedere mai. Era già piuttosto istituzionale anche prima dei Monsignori, d’altronde. Quindi, chi guarda le trasmissioni di Rete 7, insomma, lo sa prima. Non può aspettarsi fuochi d’artificio. Al massimo qualche critica pacata.
Ma il sogno all’incontrario è un sogno all’incontrario.
E allora stasera, in quella trasmissione, in quella tv, ho assistito a un quarto d’ora pirotecnico. Sconvolgente. Spassoso. Un quarto d’ora di battute da osteria, su preservativi, anzi Goldoni, reminiscenze storiche sull’uso del profilattico, doppi sensi a iosa, con Civolani lanciatissimo e la Sabri a fare da sponda brillantissima e disinvolta. Si vede che era uno di quei giorni in cui ama sentirsi femmina, non so, ma ri-soccia, la Sabri.
Ho addirittura sentito dire Cazzo, in quella trasmissione, in quella tv, stasera. E giù altri sillogismi da caserma, Cazzola, ecc.
Zelig. Pensavo di assistere a uno spento dibattito postsconfitta, e invece, va mo là, Zelig.
Bravi. Ho apprezzato.
Era la prova che mancava. La definitiva certezza di vivere dentro un sogno all’incontrario, noi tifosi del BFC.
E soprattutto, grazie, avete il merito di avermi ispirato questo pezzo. Che sarebbe un demerito a essere precisi, ma visto all’incontrario…
Grazie Civ, grazie Sabri.
Pardon, Femminea Sabri.
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